Netmage 11: Cosa resta dopo avere esplorato per un decennio gli addensamenti, gli impasti e le costellazioni inedite nelle geografie dei suoni e delle immagini in movimento, o le scie di irradiamento della performatività, inseguendo i precedenti ancestrali di una regione audiovisiva fluttuante ai bordi di sistemi e discipline? Il live media è una forma ibrida mai destinata a stabilizzarsi, evolvendo ed involvendo, espirando ed inspirando. È fragile ma sempre disponibile ad essere interrogata e stressata. Ora restano da verificare le evoluzioni e le reazioni, le rivoluzioni e i ritardi: nelle immagini, nelle materie, nella tecnica, nei formati e negli immaginari degli artisti. Soprattutto sul senso che possono assumere combinati fra loro in una mostra/programma (altro ibrido che si interroga, propone e intrattiene). Netmage 11 continua a chiedersi quale sia lo stato dell'immagine nell’epoca di una cultura – quella della rete – che nel 2000 potevamo solo sospettare quanto avrebbe cambiato il mondo. Questa del 2011 è un’edizione in cui si combinano sottoboschi fungosi con silenzi glaciali, affastellamenti tumultuosi con schiocchi di frusta.. tocchi, colpi e battiti divertiti, performance audiovisive balzane e sequenze di puro luce/suono, poltiglie post-televisive devastate e sfuriate sinestesiche suprematiste, escursioni nella tradizione vernacolare carnevalesca, ed incursioni nell’architettura mai esausta di interni d’albergo, ma anche video e pellicola, analogico e digitale, folclore e religione, festa e rigore. A pensarci bene è ciò che cola e nutre l'universo della rete - umori ed elettricità. Sono comparse sulla scena cose che un giorno non avremmo mai nominato, come la gambiarra, 'sostantivo brasiliano che indica la tecnica di improvvisare e di reinventare la funzione di oggetti o elementi di fronte a improvvisi o insormontabili problemi'. Che è poi il ritratto di un mondo di auto-costruttori, di tecniche e di strumenti, inadeguati e allo stesso tempo efficientissimi come nel principio del ready-made di Robert Fillou: fatto bene; fatto male; non fatto. La sostanza è che dopo una rivoluzione tecnologica, quella digitale degli anni '90, si è finito per diffidarne seriamente, con il sospetto di trovarci di fronte a uno scenario di cumuli immensi di spazzatura, la nostra e quella del vicino. Ma quale immensa occasione per fare arte, e poi fermarsi a riflettere. Una volta chiarito il processo, come suggeriscono Bulourde & Toulemonde, non ha molto senso continuare a produrre all'infinito, neanche si trattasse di pulitissimi elementi digitali. L'Inland Empire in cui ci aggiriamo, lo spazio su disco illimitato, evoca piuttosto una figura randagista: quel Mute Dog un po' malinconico, malconcio ma ancora fiero del proprio residuo di bio-potere incarnato, che Ries Straver ha sguinzagliato fra gli ammassi del magma internautico. Di sicuro qualcuno se ne stupirà. Netmage offre ancora una volta la possibilità di setacciare dove i reperti evocati dalle arti immateriali si stagliano come paradigmi possibili per il presente, sfidando i pregiudizi, cercando dietro le coltri delle discipline. Netmage trasforma uno spazio in un luogo. E quel luogo, per la durata del festival, diventa utopico, genera caleidoscopi di visioni e, forse, bagliori di futuri possibili. Per un festival potrebbe anche essere abbastanza; quello che ci interessa, ora, è inventare altro.
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NETMAGE 11 - 20>22.1.2011
Artists:
ZAPRUDERfilmmakersgroup (I), Home Movies/In Zaire (I), Calhau! (P), Thomas Köner/Jürgen Reble (D), Ries Straver (NL), Massimiliano Nazzi (I), Barokthegreat/Michiel Klein (I/NL), Luke Fowler/Keith Rowe/Peter Todd (UK), Cao Guimaraes/O Grivo (BR), Gaëtan Bulourde/Olivier Toulemonde (F), Bruce McClure (USA), James Ferraro (USA), Prince Rama (USA),Pippi Langstrumpf (I)
Venue:
Palazzo Re Enzo - Piazza Nettuno - Bologna
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Netmage 11: What remains, after a decade exploring the unique constellations, the thickening and blending of the geography of sounds and moving images; after wandering through the wakes of performativity, following ancient procedures of a floating audiovisual region in the edges of systems and disciplines? Live media is a hybrid form: always instable, evolving and involving, expiring and inspiring; fragile yet constantly subjected to being questioned and stressed. Now is the time to verify the evolutions and reactions, the revolutions and delays: using matters, forms and techniques, and also going through the artists’ images and imageries. Above all, now is the time to question their meaning, when intertwined in such an exhibition/program (another hybrid that questions itself, urges and entertains).
Netmage 11 continues questioning the status of the image in the age of web culture. In 2000, when it all started, who would have thought how much it would have changed the world? The 2011 edition combines mushy shrubberies with glacial silences; tumultuous bundles with whip cracks… Amused clings, punches and knocks; whimsical audio-visual performances, and sequences of pure light and sound; devastated post-television slushes and synesthetic suprematist blusters; excursions on the vernacular tradition of Carnival and incursions on the never-exhausted architecture of hotel rooms, but also video and film, analogical and digital, folklore and religion, feast and fast.
On second thoughts, these things are what pours and feeds the universe of the web: its humours and energy. We could have never nominated some of the things that showed up, such as the gambiarra, a Brazilian noun that describes the improvisation and reinvention of the function of objects and elements in the face of sudden, insurmountable problems. This also becomes the portrait of a world of the self-made, of techniques, instruments, both simultaneously inadequate and efficient, as in the Robert Filliou’s principle of the ready-made: well-done, badly-done, not-done. The problem is that we don’t trust technological revolutions anymore, and we fear finding ourselves in front of an immense accumulation of debris: ours, and that of our neighbours. What a great occasion to make art, and then stop and reflect. Once the process is clear – as suggested by Bulourde and Toulemonde – it makes no sense to continue producing ad infinitum, not even in the case of the cleanest digital elements. Our Inland Empire evokes a rather stray figure: that slightly gloomy Mute Dog battered yet proud of his incarnated energy, which Ries Straver unleashed amongst the stacks of an internautical magma. For sure someone will be stupefied. Once again Netmage offers the chance to see where the assets of immaterial arts become the possible paradigms for the present, through challenging prejudices and surmounting disciplines. Netmage turns space into place. Such a place becomes utopic, produces kaleidoscopic visions and, perhaps, glares of possible futures. That could be more than enough for a festival. For us is not. Instead, we now want to create something else.