Map Me è un’indagine sull’identità di genere messa in scena con il linguaggio della performance. Uno spettacolo tattile giocato sui registri del tocco e della vista, strumenti concettuali che descrivono il luogo in cui corpi e identità entrano in contatto amalgamandosi.
I performers Charlotte Vanden Eynde e Kurt Vandendriessche intrecciano una serie di “azioni” e “non-azioni” sia fisiche che visive, indossando letteralmente i propri corpie trasformandoli in schermi su cui animare le immagini in proiezione. Nel buio della scena nascono così delle “figure possibili” in cui si fondono la qualità materica del corpo e quella immateriale dell’immagine video: il corpo diventa un oggetto col quale si può fare qualunque cosa, procurando meraviglie all’infinito.
In Map Me il corpo è un contenitore che riesce a convertire tutte le forze estranee. La pelle, l’involucro che avvolge la massa corporea, diventa schermo per apparizioni che scombinano i piani esterno/interno (ad esempio i corpi si trasformano in una cassettiera che contiene biancheria o attrezzi da lavoro: un’immagine di funzionalità, ma anche di forgiatura interna e di privato).
In effetti, come dimostrano i titoli delle creazioni realizzate sino ad oggi da Charlotte Vanden Eynde (Legbreaks, Womanfolding, Body Material, Map Me, Beginning/Endings) al centro della sua ricerca è proprio il corpo: esso è materiale, strumento e oggetto da esplorare, ma anche soggetto.
Scoprire il proprio corpo (Legbreaks), mettere a confronto il corpo con oggetti e abiti (Womanfolding), usare il corpo come una ‘cosa’ (Body Material), tastare e sondare il corpo sia dall’esterno che dall’interno (Map Me), cercare forme primitive di movimento come quelle che si possono osservare in un neonato (Beginning/Endings).
Il percorso seguito da Charlotte Vanden Eynde nella sua breve carriera sembra voler prendere le distanze dalla danza, avvicinandosi più allearti plastiche, mettendo in questione le regole della stabilità e giocando sulla scena con la propria vulnerabilità ed intimità.