Il calcio non è l'unica ragione che spinge un ultras ad andare allo stadio. Prima dell'amore per la maglia, prima dell'orgoglio per i propri colori e prima ancora del sentimento d'appartenenza che lo lega al gruppo ed al territorio, ciò che muove l'intimo di ogni ragazzo/a da stadio è il bisogno d'esibire il proprio io; l'esposizione del proprio potere d'agire nel mondo. Il processo di partecipazione e di scrittura di una storia comune (gesta e racconto orale), il fondamento ed il consolidamento dello spazio abitato (socialità della piazza pubblica) ed il principio di legittimazione che ne guida l'amministrazione e la difesa (la casa è di chi la abita...), sono tutti comportamenti che nascono da una intima necessità di rappresentare il sè. La partecipazione alla messa in scena di una performance collettiva, la condivisione del vocabolario espressivo, ed il riadattamento dei pattern estetico-comportamentali in relazione ad un fuori scena, sono tutte marche distintive che qualificano la cultura del tifo come una forma abitativa dello spazio. Una forma mancina, non allineata alle tipologie d'audience che caratterizzano lo sport occidentale ed il mercato artistico contemporaneo.