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Uno stato eternamente nascente

 Michele Di Stefano, MK

 
 

Uno stato eternamente nascente

In questa proposta doppia (a clessidra: due globi e una strozzatura centrale affollata di possibilità) facciamo riferimento ad un mescolamento caotico, non condizionato dal linguaggio o dalla materia corporea, ma dalle intenzioni dei corpi: è come se, col progredire della ricerca coreografica, i confini tra le cose e dunque i confini tra i corpi non vengano più stabiliti dalla loro essenza ma da intenzioni ambientali. Un corpo è qualcosa che mantiene la sua struttura solo per un po’ e sempre in relazione ad un evento per poi passare a qualcos’altro. Dislocare.
Impossibile considerare questi pezzi come aventi un inizio e una fine. Siamo piuttosto totalmente dedicati a simulazioni di prossimità, senza esito.

Uno stato eternamente nascente: <Abbandono>  

concept e coreografia Michele Di Stefano
con Andrea Dionisi, Biagio Caravano, Francesca Ugolini, Loredana Tarnovschi, Michele Di Stefano, Sebastiano Geronimo
produzione KLm, Xing/Live Arts Week  


Nell’incertezza di posizione che ogni paesaggio (ogni ‘aperto’) offre al performer - che altro fare se non favorire la propria ritirata? - ci si assembla, si sta vicino al ritmo irregolare dello scambio tra il fisiologico ed il fisico, a distanza da tutto il resto, una separazione necessaria allo squagliarsi delle figure all’orizzonte. E forse immaginare la nascita di un Istituto di alti studi coreografici (pomposamente, ma in mezzo alla sterpaglia), che non fa altro che creare le condizioni perché i corpi si possano immergere nello studio della propria intenzionalità, uno studio esclusivo per la creazione dell’ambiente.
Ora, la naturalezza non è che il preambolo o la porta d’ingresso dell’intimità. In ogni caso è la buona tattica - una tattica senza tattica, che disfa ogni tattica - che a essa conduce. O meglio, vi conduce senza condurre, dato che l’intimità è priva di finalità o, piuttosto, può avvenire solo attraverso l’abbandono di ogni finalità.  (FJ)

Uno stato eternamente nascente: <Simulazione di Prossimità>   

concept Michele Di Stefano
pièce audio Massimo Conti, Michele Di Stefano
con Massimo Conti, Michele Di Stefano, Giuseppe Vincent Giampino, Renato Grieco, Valentina Lucchetti, Sara Manente, Gina Monaco, Roberta Mosca, Cristina Kristal Rizzo, Benedetta Favilli, Alba Nannini e Davide
produzione KLm, Xing/Live Arts Week  


Un assemblaggio ‘da prato’, pensato per costruire l’intesa tra i corpi a partire dall’utilizzo della parola senza oggetto: il parlottio come tramite di un’alleanza fisiologica e momentanea nell’erba. Seduta. Sedersi nel mezzo di una scacchiera (pic-nic) di performer che dicono una pièce, mentre la ascoltano all’auricolare. La pièce è composta dall’assemblaggio di pacchetti di conversazioni preregistrate colte in giro, stralci di concetti trascritti fedelmente e riorganizzati. La scelta di chi dice cosa è presa sul momento, è ambientale. L’unico audio altro viene solo dai telefoni. Un Kecac di periferia senza ritmo di comunità, drammatico e privato come la scomparsa della tua playlist. Scartare cose in continuazione o in genere, produrre rifiuti. Stare tra i propri rifiuti.

La parola che non dice niente di importante, ma intrattiene l’intimità, non ha propriamente ‘senso’, ma non è neppure insensata: dice o, piuttosto, fa sempre la stessa cosa; è a suo modo ‘performativa’ perché veicola e ravviva l’alleanza iniziata. Chiamandola ‘parlottio’, Rousseau, della parola dell’intimità, ha sottolineato contemporaneamente due cose: da una parte, essa dice solo futilità, non si occupa di niente di preciso; ma, dall’altra, anche se tale futilità non è significativa non per questo è meno espressiva. E’ espressiva di una vitalità (come lo è il parlottio dei bambini), di un’intimità che reclama i suoi diritti e vuol far sentire le sue esigenze. Quello che importa è, infatti, far passare, dall’uno all’altro, tra due e dispiegandone il tra, la qualità di uno scambio, senza che questo abbia per forza un oggetto. La parola dell’intimità ha la sua legittimità, non perché trasmette un messaggio, ma perché assicura (rassicura) del ‘dopo’; comunica, non tanto un’informazione, quanto un’intesa. … Poiché la parola non è dettata da alcuna necessità o da una qualche intenzione, non ha nemmeno ragione di arrestarsi. Il proprio del ‘parlottio’ è il fluire: fluisce come una fonte che irriga lo spazio intimo. Poiché non cerca di dire precisamente questo o quello, e non ha nemmeno detto di più dopo che prima (non è ‘discorso’), questa parola non può che continuare a dire, o piuttosto, a ‘intrattenere’.   (FJ)

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Uno stato eternamente nascente

In this double proposal (in the shape of an hourglass: two globes and a central bottleneck crowded with possibilities) we refer to a chaotic mixing, not conditioned by language or body matter, but by the intentions of the bodies: it is as if, as the choreographic research progresses, the boundaries between things and therefore the boundaries between bodies are no longer established by their essence but by environmental intentions. A body is something that maintains its structure only for a while and always in relation to an event and then moves on to something else. Displace.
It is impossible to consider these pieces as having a beginning and an end. We are rather totally dedicated to proximity simulations, without outcomes.

Uno stato eternamente nascente: <Abbandono>

concept Michele di Stefano
with Andrea Dionisi, Biagio Caravano, Francesca Ugolini, Loredana Tarnovschi, Michele Di Stefano, Sebastiano Geronimo
production KLm, Xing/Live Arts Week


In the uncertainty of position that each landscape (each 'open') offers to the performer - what else to do but encourage one's own retreat? - we assemble, we keep close to the irregular rhythm of the exchange between the physiological and the physical, at a distance from everything else, a necessary separation for the melting of the figures on the horizon. And perhaps imagine the birth of an Institute of high choreographic studies (pompously, but in the midst of the brush), which does nothing more than creating the conditions for bodies to be immersed in the study of their own intentionality, an exclusive study for the creation of environments.
Now, naturalness is nothing but the preamble or the gateway to intimacy. In any case it is the good tactic - a tactic without a tactic, which undoes all tactic - that leads to it. Or rather, it leads you without leading, since intimacy is devoid of purpose or, rather, it can only take place through the abandonment of any purpose.  (FJ)

Uno stato eternamente nascente: <Simulazione di Prossimità>

concept Michele Di Stefano
audio piece Massimo Conti, Michele Di Stefano
with Massimo Conti, Michele Di Stefano, Giuseppe Vincent Giampino, Renato Grieco, Valentina Lucchetti, Sara Manente, Gina Monaco, Roberta Mosca, Cristina Kristal Rizzo, Benedetta Favilli, Alba Nannini and Davide
production KLm, Xing/Live Arts Week


A 'lawn' assembly, designed to build an understanding between bodies, starting from the use of the word without object: chattering as a means of a physiological and momentary alliance on the grass. Sitting. Sitting in the middle of a chessboard (pic-nic) of performers echoing a pièce, while listening to it on the headset. The piece is composed of the combination of slots of pre-recorded conversations captured on the road, excerpts of concepts faithfully transcribed and reorganized. The choice of who says what is taken on the spot, it is environmental. The only other audio comes from Iphones. A suburban Kecac with no community rhythm, as dramatic and private as the disappearance of your playlist. To discard things continuously or in general, to produce waste. To stand in your own waste.

The word that does not say anything important, but entertains intimacy, does not really make ‘sense’, but neither is it senselessr: it always says or -rather- does the same thing; it is in its own way ‘performative’ because it conveys and revives the alliance that has been initiated. Calling it ‘chatter’, Rousseau, of the word of intimacy, underlined two things at once: on the one hand, it only says futility, it does not deal with anything specific; but, on the other hand, even if this futility is not significant, it is no less expressive for this. It expresses a vitality (as is the chattering of children), of an intimacy that claims its rights and wants to make its needs heard. What matters is, in fact, making the quality of an exchange pass from one to the other, between the two and unfolding the in-between, without necessarily having an object. The word of intimacy has its legitimacy, not because it transmits a message, but because it ensures (reassures) the ‘aftewardr’; it doesn’t communicate information, but understanding. …  Since the word is not dictated by any need or any intention, it has no reason to stop either. The characteristic of the ‘chatter’ is the flow: it flows like a spring that irrigates the intimate space. Since it does not try to say this or that precisely, and has not even said more afterward  than before (it is not ‘speech’), this word can only continue to say, or rather, to ‘entertain’. (FJ)